L’inchiesta sul New York Times fa emergere situazioni sconcertanti che però, mi preme sottolineare, nulla hanno a che vedere con la Politica Agricola Comune (PAC).
Si tratta di episodi di malcostume che, se fossero confermati, getterebbero gravi ombre sui vertici di alcuni Paesi membri dell’UE, ma non sulla politica agricola.
Su questo punto l’inchiesta commette un grave errore nell’additare la PAC come responsabile di queste nefandezze. Anzi, proprio in questi ultimi anni sono stati fatti sforzi importanti per ridurre le inevitabili distorsioni che si creano in una politica complessa che si estende su 27 Paesi e coinvolge milioni di agricoltori.
È stata varata una norma, quella sull’agricoltore attivo, per delimitare il campo dei beneficiari ai soli agricoltori, bandendo altre formule di possesso dei terreni. È stato introdotto un tetto ai pagamenti erogati per singolo beneficiario, il cosiddetto capping, che limita le concentrazioni di risorse. Sono stati in gran parte allineati i premi (prima molto diversi) tra agricoltori, attraverso il sistema della convergenza.
Allo stesso tempo è però vero che il rischio che certi comportamenti possano essere promossi da scelte nazionali diventerebbe più alto se assecondassimo l’attuale proposta di riforma presentata dalla Commissione. Considero questa proposta una spinta alla ri-nazionalizzazione della PAC, che produrrà inevitabili sperequazioni, dettate dai diversi quadri di opportunità nei quali sono collocate le agricolture dei diversi Stati membri. Oggi più che mai c’è bisogno di un forte ancoraggio a obiettivi e strumenti comuni. L’idea di ri-nazionalizzazione dovrebbe essere sostituita da quella di flessibilità per lasciare agli Stati membri margini di manovra ben definiti nei quali dare risposta alle specificità territoriali, sia dal punto di vista ambientale che produttivo.
Altrimenti il rischio è quello di aprire all’individualismo politico e fare a questo punto della PAC un mero contenitore di risorse.
Infine, tornando all’inchiesta, vorrei fare due brevi riflessioni. La prima sulla concentrazione delle risorse nelle mani di una minoranza di aziende agricole questo è inevitabile se i pagamenti vengono intesi come riconoscimento dei benefici ambientali generati dal singolo ettaro coltivato.