Il primo passo del Green Deal, presentato dalla Commissione europea e approvato dal Parlamento europeo nella sessione plenaria di gennaio, è l'istituzione di un Fondo di Transizione per riconvertire le regioni carbonifere. Negli ultimi mesi come eurodeputati Pd, e in prima persona come vicepresidente della commissione Industria, ci siamo impegnati con successo per convincere la Commissione a estendere l'utilizzo del Fondo anche alle aziende ad alte emissioni come l'Ilva o come molte Pmi italiane che altrimenti non potrebbero sostenere da sole i costi della riconversione. L'iniziativa che con 7,5 miliardi di euro, stanziati dal bilancio Ue, punta a mobilitare 100 miliardi di investimenti tra fondi di coesione, co-finanziamenti nazionali, fondi privati e prestiti della Banca Europea degli investimenti. All'Italia, secondo le prime bozze circolate a Bruxelles, arriverebbero 364 milioni di euro, con cui mobilitare 4,8 miliardi di euro di investimenti totali. Il grosso va a Polonia e Germania, che devono riconvertire centinaia di centrali a carbone, ma l'Italia resta comunque uno dei principali Paesi beneficiari, anche se il dibattito nazionale si è concentrato sui 900 milioni di contributi netti al bilancio Ue. Un vero peccato perché in gioco ci sono 4,8 miliardi di investimenti, non 364 milioni, e la leadership industriale europea ed italiana. Il Green Deal non è solo una necessità ambientale ma un'occasione imperdibile per l'Europa e l'Italia per rilanciare la crescita e creare occupazione. Per questo è allarmante constatare il livello di disinformazione e superficialità con cui viene discusso il tema nel dibattito nazionale. Paragonare i contributi dell'Italia all'Ue, da cui sono estrapolati i 900 milioni che andrebbero al Fondo di Transizione, con i circa 364 milioni che l'Italia dovrebbe ricevere è insensato, innanzitutto perché i fondi Ue serviranno a mobilitare 4,8 miliardi e, in secondo luogo, perché l'Italia beneficia da sempre, anche economicamente, dei progressi dell'intera Unione europea. Siamo nel mercato unico europeo e vinciamo perdiamo tutti insieme, nelle battaglie ambientali come in quelle economiche. Se ne facciamo un discorso di contabilità spicciola non avremmo dovuto far parte dell'Ue fin dall'inizio visto che siamo da sempre un Paese contributore netto: in termini contabili diamo più di quanto riceviamo, ma in termini economici abbiamo ottenuto benessere e stabilità economica grazie all'integrazione nel mercato unico più ricco del pianeta.