07
Mag

Il caso Lombardia

Col crescere dell'emergenza è diventato il tentativo sistematico di produrre una grande opera di distrazione di massa culminata nelle frasi imbarazzate e imbarazzanti del  Presidente Fontana che ha più riprese è  arrivato a negare responsabilità dirette di carattere regionale.

di Pierfrancesco Majorino

Nel pieno dell'emergenza sanitaria esiste una terrificante storia fatta di errori ed omissioni. È quella che si è verificata in terra lombarda.

Una terra tra le più ricche e "trainanti" d'Europa che ha spesso guidato lo sviluppo del Paese e che ha anche visto crescere, pur tra diverse ambiguità che in parte in seguito vedremo, un sistema sanitario d'eccellenza e che tuttavia in questi mesi,  i mesi della pandemia, si è caratterizzata come un laboratorio al contrario. 

Quello delle pessime pratiche.

Intendiamoci: il Coronavirus non lo ha portato nei focolai della bergamasca o della "bassa" la cattiva politica.

Tuttavia la serie di impressionanti inciampi di una classe dirigente non ha fatto altro che peggiorare in maniera dirompente le cose.

La bulimia comunicativa del Presidente Fontana e dei "suoi" assessori non è bastata a nascondere, come fosse polvere da cacciare sotto il tappeto, la realtà.

E la realtà, al fondo, è quella di un errore strategico che ha radici antiche e per l'appunto opacità di fondo che si sono rivelate pericolose.

Il dottor Massimo Galli, dell'Ospedale Sacco, una delle fonti più autorevoli  emerse in queste settimane, lo ha detto senza troppi giri di parole quando ha fatto riferimento al "clamoroso fallimento della medicina territoriale".

In pratica è come se Fontana e soci avessero pensato di vincere la partita dell'emergenza sostanzialmente in due mosse.

Da una parte puntando tutto e solo sulla forza degli ospedali dall'altra ingaggiando un duello continuo ed estenuante sul piano delle responsabilità con il governo "romano".

La cosa nei primi giorni, a ben vedere, ha e aveva pagato.

La sanità lombarda pareva un baluardo ben presidiato a fronte di uno Stato Centrale molto centralista e burocratico.

Dopo alcune settimane,  in un quadro globale costituito da gigantesche e ben distribuite difficoltà, credo sia emersa, invece, una storia ben differente.

Sulla distribuzione delle mascherine, sull'uso dei tamponi, sulla organizzazione dei test sierologici, sull'assistenza domiciliare e in maniera devastante sull'organizzazione delle Case di riposo, quel che affermava Galli si è tragicamente misurato.

In più in una cornice del genere la relazione opaca tra "pubblico" e "privato"(presente in Lombardia attraverso straordinari centri e pratiche discutibili) non ha sempre reso le cose semplici.

Cosi perfino queste giornate, quando si discute di come e quanto "riaprire", sono segnate dalla solitudine di chi affronta i sintomi della malattia nella totale incertezza  o dal crescere di dubbi, perfino oggetto dell'azione della magistratura, sulla effettiva legittimità di alcune scelte.

Dicevo poi della questione più politica e comunicativa.

Essa non è affatto marginale.

Poiché per giorni e giorni i governanti lombardi hanno cercato di calcare la paura, secondo una pratica consolidata, tentando di orientarla verso soggetti del potere centrale.

Fossero, essi, il governo o la Protezione Civile.

Ciò non si è verificato a caso. E col crescere dell'emergenza è diventato il tentativo sistematico di produrre una grande opera di distrazione di massa culminata nelle frasi imbarazzate e imbarazzanti del  Presidente Fontana che a più riprese è  arrivato a negare responsabilità dirette di carattere  regionale ad esempio sulla mancata delimitazione di alcune zone "rosse" o nella gestione delle RSA o di ASP come il Pio Albergo Trivulzio.

Ovviamente non è finita.

Perché  se è  vero che stiamo per entrare nella cosiddetta fase due viene da chiedersi come essa possa essere affrontata, in un quadro ancora da chiarire rispetto all'efficacia delle terapie utilizzate e senza un vero sistema straordinario di assistenza che, giusto per fare quattro esempi differenti tra loro sappia tutelare le lavoratrici e i lavoratori, rompere la solitudine dei più fragili, consentire a chi opera nelle Case di riposo di svolgere quotidianamente la propria funzione nella piena sicurezza, predisporre luoghi adeguati per affrontare l'eventuale quarantena (le  tanto annunciate azioni relative all'uso degli alberghi sono rimaste casi isolati e provocati grazie a interventi totalmente autonomi dalla Regione).

Ben più di settantamila positivi accertati (ma quanti in realtà si più? Certamente moltissimi), le lunghe file di bare stipate nelle Chiese delle RSA, l'angosciante serie di racconti dei medici e degli infermieri (davvero straordinari).

Tutto questo domanda risposte radicali e non potrà essere spazzato via esibendo, a favore di camera, il finto sorriso rassicurante di qualche esponente della Regione.