03
Lug

Sì alle risorse proprie per finanziare il Recovery Fund

Non approveremo il nuovo Bilancio dell’Unione senza un paniere di nuove entrate europee che siano legate alle due grandi priorità politiche dell’Unione del futuro: il Green Deal, le politiche sostenibili e la trasformazione digitale. L’approvazione di entrate proprie europee nel bilancio comunitario avrebbe il duplice merito di finanziare il Piano per la Ripresa senza pesare su famiglie e lavoratori, e di ridurre la quota dei contributi a livello nazionale, che ogni volta blocca i negoziati all’interno del Consiglio. Si tratta di un’occasione storica.

Di Elisabetta Gualmini

Le risorse per finanziare il fondo per la ripresa per rispondere alla crisi Covid-19 da 750 miliardi di euro presentato da Ursula von der Leyen lo scorso 27 maggio dovranno provenire da un paniere ampio di risorse proprie europee. 

Il debito comune europeo creato per finanziare la ripresa - una grande vittoria del gruppo dei socialisti e democratici, fortemente voluto dalla delegazione italiana a Bruxelles - dovrà assolutamente essere ripagato dai giganti del web, che nonostante la pandemia hanno registrato milioni di euro di surplus in Europa ma non pagano le tasse in maniera equa. Le risorse andranno recuperate da chi fa profitti grazie alle transazioni finanziarie, dalle multinazionali e dalle grandi imprese che beneficiano del mercato unico e da quelle imprese che inquinano di più. Certamente non dalle tasche dei cittadini e dei lavoratori che stanno già pagando abbastanza i costi della crisi. 

Da mesi la linea negoziale del Parlamento europeo è solida e ferma su un punto: non approveremo il nuovo Bilancio dell’Unione senza un paniere di nuove entrate europee che siano legate alle due grandi priorità politiche dell’Unione del futuro: il Green Deal, le politiche sostenibili e la trasformazione digitale. L’approvazione di entrate proprie europee nel bilancio comunitario avrebbe il duplice merito di finanziare il Piano per la Ripresa senza pesare su famiglie e lavoratori, e di ridurre la quota dei contributi a livello nazionale, che ogni volta blocca i negoziati all’interno del Consiglio. Si tratta di un’occasione storica di finanziare la ripresa del nostro continente grazie a entrate generate da politiche e misure che possono essere attuate solo a livello europeo e che nessuno Stato membro potrebbe attuare da solo, senza comportare un onere fiscale aggiuntivo per le tesorerie nazionali. 

Infine, la Brexit e la conseguente rimozione del famoso sconto britannico aprono la porta all'eliminazione dei relativi meccanismi di sconti, poco trasparenti ed equi, che sono concessi a Germania, Austria, Danimarca, Svezia e Paesi Bassi. 

I governi europei si sono riuniti venerdì 19 giugno in videoconferenza per un primo scambio di opinioni sul Recovery Fund, e si riuniranno ancora nella seconda metà di luglio per raggiungere un accordo definitivo. I costi di un mancato accordo e soprattutto di un ulteriore rallentamento delle tempistiche sarebbe troppo alto e non comprensibile agli occhi di chi sta soffrendo le conseguenze della crisi e delle chiusure dovute al COVID. Ci aspettiamo dunque che tutti i paesi siano solidali e facciano in pieno la loro parte, non solo aumentando le soglie delle risorse proprie già in vigore (fino al 2% del Pil) ma introducendo nuove entrate che consentano di realizzare tutte le promesse fatte ai cittadini. 

 

Elisabetta Gualmini