24
Set

Editoriale, di Brando Benifei

Il discorso sullo Stato dell’Unione di Ursula von der Leyen, il primo da Presidente della Commissione Europea, è stato denso e appassionato, con diversi passaggi non scontati e molto significativi se visti all’interno della fase storica che l’Europa e il mondo si trovano ad affrontare.

Secondo alcuni, le elezioni di poco più di un anno fa avrebbero dovuto consegnare le istituzioni europee ai sovranisti. Oggi invece vediamo un’Europa che nella crisi causata dalla pandemia ha saputo fare passi avanti decisivi verso una maggiore integrazione, mettendo in discussione dogmi che sembravano inscalfibili (pensiamo al debito comune europeo) e prendendo una serie di decisioni storiche per il suo futuro.

Ursula von der Leyen nel suo discorso ha fornito un chiaro posizionamento geopolitico per l’Europa, autonomo da Russia e Cina, così come dagli Stati Uniti, con i quali si mantiene il legame transatlantico pur nella diversità dell’approccio europeo rispetto a quello di Donald Trump su tante questioni, prime tra tutte l’ambiente e la lotta alle disuguaglianze. Un’Europa che, in linea con i suoi valori fondamentali, sappia coniugare libertà e diritti, crescita e contrasto alle disuguaglianze. Al tempo stesso, il riconoscimento della necessità di riformare le istituzioni europee è uno dei punti più interessanti del discorso, perché arriva dopo una pandemia che ha mostrato i limiti dell’Unione e il bisogno di darle maggiori poteri e risorse. Ma non può rimanere solo un appello retorico: deve trovare concretezza, e per questo saremo estremamente rigorosi nel chiedere conto alla Commissione Europea degli impegni presi.

Nei prossimi mesi e anni sarà fondamentale costruire un’economia fondata sulla sostenibilità e sulla transizione economica e digitale. Per farlo, servirà prevedere adeguate risorse, ad esempio nel Fondo Sociale Europeo Plus, che supporterà piani di inclusione sociale nei territori più interessati dalla transizione, fornendo sostegno ai lavoratori e ai giovani in cerca di occupazione (per i quali è ormai tempo di prevedere nuove forme di tutela, iniziando con l’obbligatorietà di retribuzione per stagisti e tirocinanti). Al tempo stesso, in politica interna bisogna difendere con forza lo stato di diritto: non è più tollerabile che nell’UE vi siano realtà, come Polonia e Ungheria, dove i diritti fondamentali di alcuni cittadini vengono negati (si pensi alle persone LGBTQI) e dove la divisione tra poteri diventa sempre meno reale. Stare in Europa deve voler dire sposarne i valori, non prenderne solo ciò che conviene.

Infine, serve riformare una volta per tutte l’Unione Europea, dando centralità ancora maggiore al Parlamento Europeo (unica istituzione eletta direttamente dai cittadini) nella sua azione di indirizzo politico e legislativo. Nei prossimi mesi, la Conferenza sul Futuro dell’Europa sarà un grande spazio di discussione tra istituzioni, organizzazioni e cittadini. Se dalle consultazioni dovesse venire l’indicazione chiara di una riforma in tal senso, le istituzioni dovranno lavorare con serietà in questa direzione. È chiaro, però, che anche dagli Stati membri deve venire una nuova consapevolezza: il Recovery Fund e la creazione di debito comune sono passi da cui non si torna indietro. Oggi serve ampliare i poteri dell’Unione sia formalmente, aumentando le competenze comunitarie, sia di fatto, varando un sistema di risorse proprie, che tassando le transazioni finanziarie speculative, i colossi del web e le importazioni da Paesi extra UE che producono inquinando più di quanto è permesso da noi (carbon leakage) diano all’Europa le risorse per finanziare la sua azione.

Ci attendono grandi sfide, e un lavoro cruciale e delicato. Ma negli scorsi mesi l’Unione Europea ha dimostrato a sé stessa di poterle affrontare. Come Partito Democratico, faremo la nostra parte.