19
Nov

La coscienza dell’Europa

Se ripenso alla settimana appena trascorsa, mi pare sia stata lunga e densa di emozioni. La paura per il virus, passi avanti nella sperimentazione del vaccino e una luce che si cominci a intravedere alla fine del tunnel.

Vedo la speranza che un virus a portata pandemica possa essere sconfitto dall’uomo. Stiamo combattendo una battaglia difficilissima. Lo stiamo facendo a un costo altissimo. Di vite, di affetti, di gabbie di solitudine e isolamento, di incertezze sul futuro. Questa settimana ci ha consegnato anche due fatti di cronaca, l’uno lo specchio dell’altro. Il primo è lo sciopero “al contrario” indetto dai braccianti agricoli lo scorso 12 novembre.

Uno sciopero indetto contro la schiavitù. Contro l’assenza di minime condizioni di sicurezza sul lavoro, incluso il diritto all’igiene personale e ai dispositivi di protezione individuale.

Eppure i braccianti hanno annunciato che il loro sciopero si sarebbe svolto continuando a lavorare, garantendo il cibo sulle nostre tavole, ma rinunciando alla paga. Un gesto da giganti. Poi c’è l’altra notizia, che mi ha spezzato il cuore, per l’indifferenza di tanti. È quella dei nuovi morti per naufragio nel Mediterraneo e di uno straziante salvataggio da parte della Open Arms. Ci sono le urla di una madre disperata, che chiede incessantemente: “Cercate il mio bambino! Ho perso il mio bambino”. Quel bimbo, Youssef, di appena sei mesi, non si è salvato ed è stato sepolto a Lampedusa. Guardare quelle immagini è stato peggio di un pugno allo stomaco.

Ne ho viste tante, di quelle madri. Le ho viste sbattere la testa per terra, sui muri, cercare la morte per raggiungere i figli ingoiati dalle onde.

Che cosa stiamo facendo noi? Non riusciamo a fermarci un attimo, a ragionare, neanche davanti alla disperazione di una giovane madre che ha perso il figlioletto tra le onde. In Europa e in Italia, in questo momento, dobbiamo darci una scossa.

I “decreti Lamorgese” hanno superato gli abominevoli decreti (in)sicurezza ma se il Parlamento non farà in fretta nel concluderne l’iter, il rischio è di vanificare quel lavoro, ancora insufficiente, che rappresenta comunque un cambio di rotta. Allo stesso modo, sul fronte europeo il «Patto per le migrazioni» ha davanti a sé un percorso in salita, nelle commissioni e, poi, in Plenaria, per superare gli iniqui meccanismi del Regolamento di Dublino, che resta in vigore fino a quando non approveremo in via definitiva il nuovo accordo, parimenti al Consiglio. La strada è tracciata, e non possiamo permetterci alcun passo indietro.

Ne va del futuro che vogliamo costruire.