L’entrata in vigore della legge europea sulla condizionalità dello stato di diritto, prevista il 1 giugno, è stata rinviata a data da destinarsi e il Parlamento ha approvato una risoluzione con la quale accusa la Commissione di aver temporeggiato più del dovuto, forse per evitare uno scontro frontale con alcuni paesi membri, quali Polonia e Ungheria.
Non sono bastati sei mesi di proroga alla Commissione europea! L’entrata in vigore della legge europea sulla condizionalità dello stato di diritto, prevista il 1 giugno, è stata rinviata a data da destinarsi, provocando una tensione politica sulla scena istituzionale comunitaria. Infatti, il Parlamento, pochi giorni fa, ha approvato una Risoluzione con la quale accusa la Commissione di aver temporeggiato più del dovuto, forse per evitare uno scontro frontale con alcuni paesi membri, quali Polonia e Ungheria, nel mettere a punto le linee guida dell’applicazione del Regolamento sulla condizionalità dello stato di diritto.
La Risoluzione del Parlamento insiste sulla necessità di accelerare i tempi di applicazione del meccanismo normativo, che consente di sospendere l’accesso ai fondi europei ai paesi che non ne rispettano i valori fondanti. Un appello motivato dalla convinzione che la credibilità delle Istituzioni europee dipende anche e soprattutto dalla protezione dello stato di diritto e che il principio di condizionalità rappresenta un baluardo contro le violazioni dei diritti e le prepotenze dei poteri illegali e criminali. Sono questi gli aspetti che hanno ispirato la struttura generale del quadro legislativo del Regolamento, il quale individua nei sistemi giudiziari efficienti e in un impianto normativo di contrasto alla corruzione due tra i principali pilastri per garantire una sana gestione finanziaria del bilancio europeo.
Elementi che rischiano di essere messi in ombra da considerazioni opportunistiche del momento, peraltro condivise da molti, che l’attuale urgenza di grandi investimenti europei per assicurare la ripresa economica, necessitino di essere bilanciati con una serie di interventi volti a semplificare le regole degli appalti. Una visione un po’ miope, di natura meramente politica, che potrebbe tradursi in un indebolimento dell’efficacia del pacchetto normativo, tale da inficiare lo spirito legalitario insito nei codici di controllo della gestione della spesa pubblica.
Senza contare che una semplificazione non accompagnata da un aumento di efficienza e tempestività dei controlli - per esempio attraverso l’interoperabilità dei sistemi informatici - si tradurrebbe in un mero abbassamento del livello di guardia, con l’effetto di alimentare il terreno d’incontro ed una esiziale osmosi tra gli interessi dell’economia legale e gli appetiti delle organizzazioni criminali. Invece, proprio in questo particolare contesto storico, occorre, più che mai, una legislazione che ponga la legalità e la certezza del diritto alla sorgente dell’azione istituzionale, posto che, come certificano le indagini giudiziarie delle autorità nazionali e di Europol, la corruzione è il primo e fondamentale varco per le infiltrazioni della criminalità organizzata nell’economia legale.
Per motivi di chiarezza, occorre riprendere le fila della discussione che ha pervaso i media e l’opinione pubblica negli ultimi mesi per valutare pienamente la complessità del provvedimento legislativo sulla condizionalità. La maggior parte dei commenti, che hanno salutato favorevolmente l’approvazione del Regolamento, hanno interpretato la proposta in termini, quasi esclusivamente, di politica internazionale, dando tuttavia rilievo e facendo da cassa di risonanza delle pulsioni antidemocratiche e antieuropeiste che agitano alcuni Stati membri. Ciò ha significato battere solo su un tasto del campo di applicazione del Regolamento, quello riguardante le violazioni sistematiche dei valori fondamentali dell’Unione, evidenti in alcune decisioni dei governi della Polonia e dell’Ungheria, dirette a indebolire l’indipendenza dei sistemi giudiziari e ad imbavagliare la libertà dei media.
Una scelta editoriale e politica che, di fatto, ha messo in sordina il fattore più promettente del principio di condizionalità, ovvero il suo ampio raggio di intervento: infatti, esso è destinato a coprire altri ambiti di vitale importanza, come ricordato espressamente nel Regolamento quando afferma che nell’esame delle condizioni per una sana gestione finanziaria verranno valutate le misure adottate dalle autorità pubbliche in merito all’impatto e alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore pubblico.
Si tratta di elementi normativi di notevole valore politico-giuridico che hanno l’obiettivo di radicare nell’azione amministrativa e imprenditoriale i principi strutturanti della legalità e della efficienza e credibilità dell’azione giudiziaria a tutela dei diritti, sia in campo civile, amministrativo e penale. Che tradotto nella gestione pratica della spesa pubblica significa introdurre regole in grado di vigilare sulle procedure di aggiudicazione degli appalti; di tutelare i diritti nelle controversie civili; di fornire credenziali ai servizi responsabili delle indagini e dell’azione penale nel contrasto alla corruzione e alle frodi; di monitorare la prevenzione e la repressione penale dei reati di mala gestione dei fondi; di facilitare il recupero dei fondi indebitamente versati; di organizzare una effettiva collaborazione transfrontaliera tra i diversi organismi investigativi e giudiziari promuovendo la circolazione informatica degli atti processuali e delle prove, oltre che una leale cooperazione con la Procura europea, con Europol, con Eurojust e con l’Ufficio antifrode europeo.
Le misure normative di contrasto alla corruzione e alle attività illecite organizzate, che compromettono gli interessi finanziari dei Paesi dell’Unione, richiedono di essere attuate da sistemi giudiziari indipendenti ed efficienti. Solo così avranno modo di svolgere pienamente il loro ruolo di custodi della legalità.