L'assenza di una vera solidarietà europea, di una politica di accoglienza e persino di un senso di responsabilità del'Unione e dei suoi Stati membri ha portato ad una esplicita esternalizzazione nella gestione delle frontiere.
L’esperienza dei fondi fiduciari dell'UE, nati a partire dal 2014 per rendere più flessibili e pronte alcune delle politiche esterne delle Unione, contiene parecchie ombre e la necessità di un chiaro cambio di rotta, sia per quanto riguarda la trasparenza del processo decisionale sia nel merito dei progetti finanziati.
Su questa linea si è espresso in maniera netta il Parlamento Europeo, nel corso della sessione plenaria di inizio ottobre, con una relazione incentrata sulla valutazione dell’implementazione dei quattro fondi fiduciari (Beku, Madad, Africa e Colombia) e dello strumento per i rifugiati in Turchia, per la quale ero relatore del gruppo S&D insieme ad Elisabetta Gualmini.
Se è vero infatti che questi fondi hanno spesso finanziato progetti importanti, ai quali bisognerà dare continuità, abbiamo anche notato che in diversi casi risorse destinate alle politiche di sviluppo sono state dirottate verso azioni focalizzati sulla riduzione dei flussi migratori e non a combatterne le cause profonde.
L'assenza di una vera solidarietà europea, di una politica di accoglienza e persino di un senso di responsabilità del'Unione e dei suoi Stati membri ha portato ad una esplicita esternalizzazione nella gestione delle frontiere. Questo ha spesso portato anche ad eclatanti ed inaccettabili violazioni dei diritti umani, penso ad esempio al finanziamento alla cosiddetta guardia costiera libica.
Ed è ancora più grave che questo sia avvenuto senza un vero coinvolgimento del Parlamento nel processo decisionale e quindi senza che fosse garantita piena trasparenza su questi fondi.
Il giudizio espresso dal Parlamento, a larga maggioranza, è stato quindi durissimo, chiedendo non solo di ripristinare un pieno e doveroso controllo democratico, ma anche di strutturare un monitoraggio indipendente sul rispetto dei diritti umani che porti alla sospensione di tutti i progetti che non li rispettano.
Anche sullo strumento per i rifugiati in Turchia la relazione è molto chiara. Riconosciamo l'esigenza di continuare a fornire il supporto necessario ai rifugiati che scappano da situazioni drammatiche, come quella siriana, ma crediamo che questo debba avvenire in un contesto di dignità e di rispetto dei diritti umani di queste persone. Ed è evidente che il governo turco, che spesso ha utilizzato i migranti come strumento di minaccia, è assai poco affidabile in questo senso. Per questo riteniamo necessario che ci sia un monitoraggio più attento e che questi fondi siano indirizzati e gestiti esclusivamente dalla società civile.
Pierfrancesco Majorino