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Editoriale di Brando Benifei, Gennaio 2023

È uno dei più grandi successi dell'Ue, ma anche uno dei più incompresi: nella prima sessione plenaria dell'anno a Strasburgo abbiamo celebrato i trent'anni del Mercato unico europeo. Indicato come obiettivo da Jacques Delors nel 1985, è diventato realtà a partire dal 1993 in un tenace e continuo lavoro di aggiornamento e integrazione che dura tutt'oggi e che ha ancora molta strada da percorrere.

Abbattere le frontiere, le barriere doganali e tutti gli ostacoli che dividono le economie dell'Ue è stato ed è un lavoro enorme, fatto di migliaia di legislazioni da mettere a punto, da negoziare e approvare. 

Migliaia riunioni, summit, maratone negoziali fino al mattino e innumerevoli standard diversi da unificare, autorità nazionali da convincere e autorità europee da creare. Il risultato è stata la nascita del mercato unico più grande e ricco del mondo, con 450 milioni di persone e con le esportazioni verso gli altri Paesi Ue che sono passate dai 671 miliardi di euro del '93 ai 3,4 trilioni del 2021. Nei fatti per noi ha significato il boom delle esportazioni italiane e il successo delle nostre piccole e medie imprese.

Come membro della commissione per il Mercato unico al Parlamento europeo sono fiero di aver lavorato come relatore al programma per il mercato interno che ne finanzia il funzionamento all'interno dell'attuale bilancio pluriennale. E non è meno importante il lavoro che stiamo facendo con alcuni colleghi per ammodernare il quadro legislativo nel settore del mercato unico digitale, tra le altre cose con il primo regolamento orizzontale al mondo sull'intelligenza artificiale o del lavoro su piattaforma.

Purtroppo queste risorse e opportunità non sono troppo facili da “vedere” per i nostri cittadini. Per fortuna nostra, e sfortuna degli inglesi, la Brexit ha aperto uno squarcio di verità nella cortina fumogena della propaganda euroscettica e oggi si calcola che l'uscita dall'Ue e dal mercato unico sia costata a Londra qualcosa come 5,5 punti di Pil.

In un'Unione europea spesso accusata di essere al servizio di banche e multinazionali, pochi considerano che gli europei sono i consumatori più protetti al mondo, che il peso del mercato unico permette all'Europa di imporre i propri standard di sicurezza, ambientali e sociali, che i gruppi sociali più vulnerabili sono i primi a beneficiare del mercato unico.

Non è un caso che dopo il desolante spettacolo inglese i sovranisti nostrani abbiano smesso di invocare l'Italexit. Oggi le stime indicano che completare il mercato unico potrebbe portare da qui al 2029 14 punti di Pil aggiuntivo, a patto di saper guardare avanti. 

Dobbiamo tuttavia saper portare avanti, al contempo, l'agenda sociale europea, per ribilanciare le libertà economiche con i diritti sociali, in modo da appianare le divergenze esistenti tra Paese e Paese e al loro stesso interno. 

Per fare tutto ciò, non saranno sufficienti iniziative mirate, seppur assolutamente necessarie - cito ad esempio la direttiva sul salario minimo europeo, le norme sulla salute e la sicurezza dei lavoratori, le misure a sostegno dell'occupazione giovanile o la nuova strategia europea per l'assistenza - ma è necessario rivedere i trattati europei, in modo tale da risolvere da un punto di vista costituzionale l'attuale asimmetria esistente tra mercato e diritti. 

La battaglia politica che portiamo avanti è quella dell'inserimento del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali all'interno dei Trattati, sotto forma di un protocollo per il progresso sociale che metta i diritti sociali e dei lavoratori con pari tutele rispetto alla libera circolazione di merci, servizi, persone e capitali.


Brando Benifei