03
Nov

Dieci anni dopo il naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013

Allora ero certo che tanto orrore avrebbe cambiato le cose, spento la narrazione tossica delle destre, interrotto il perenne clima da campagna elettorale, trasformato i numeri della propaganda in nomi, cognomi, persone. E quando venne avviata l’operazione “Mare Nostrum” credetti che quel modello sarebbe diventato il modello dell’Unione Europea. Così non è stato, lo sappiamo bene, e se guardo al presente e al dibattito politico di queste ultime settimane, mi viene da dire che non è cambiato proprio nulla. Anzi per molti versi la situazione è peggiorata, perché al blocco di Visegrad da sempre contrario alla ricollocazione dei migranti e, più in generale, ad una politica di accoglienza, si è aggiunta anche l’Italia a guida Giorgia Meloni.

Dieci anni sono trascorsi dal Naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, il più grave nel Mediterraneo fino a quel momento con 368 vittime accertate. Milioni di persone si sono commosse davanti ai corpi che il mare restituì per giorni, ai sacchi per cadaveri sulla banchina del molo Favaloro, alle centinaia di bare allineate, alle immagini subacquee che mostravano altri corpi incagliati sottocoperta, in quella imbarcazione che avrebbe dovuto condurli ad una nuova vita. 

Per me quelle sono scene ancora nitide, le ho davanti agli occhi. Quei corpi li ho visti da vicino, li ho toccati, li ho ispezionati per permetterne il riconoscimento da parte dei parenti e credo che mai riuscirò a dimenticare la tragedia di quelle ore. 

Però allora ero certo che tanto orrore avrebbe cambiato le cose, spento la narrazione tossica delle destre, interrotto il perenne clima da campagna elettorale, trasformato i numeri della propaganda in nomi, cognomi, persone. E quando venne avviata l’operazione “Mare Nostrum” credetti che quel modello sarebbe diventato il modello dell’Unione Europea.

Così non è stato, lo sappiamo bene, e se guardo al presente e al dibattito politico di queste ultime settimane, mi viene da dire che non è cambiato proprio nulla. Anzi per molti versi la situazione è peggiorata, perché al blocco di Visegrad da sempre contrario alla ricollocazione dei migranti e, più in generale, ad una politica di accoglienza, si è aggiunta anche l’Italia a guida Giorgia Meloni. 

Dal nostro Paese arrivano oggi alcune delle norme peggiori in fatto di soccorso in mare. La legge 50/23 che ha convertito il cosiddetto “decreto Cutro”, ha introdotto restrizioni per le ONG che mai avrei immaginato. Salvare vite è diventato un reato punibile con fermi e multe. Le navi delle Ong hanno l’obbligo di effettuare un salvataggio per volta e dirigersi al porto assegnato. 

Solo chi considera queste persone un “carico residuale” poteva immaginare un provvedimento così disumano. Contrario alla legge del mare – che esiste da sempre - e al diritto internazionale. 

Il Parlamento Europeo ha mostrato il proprio disappunto in una risoluzione approvata a luglio scorso che va in direzione opposta e chiede un coordinamento europeo per le azioni di ricerca e salvataggio – una Mare nostrum europea, finalmente! - e maggiore collaborazione con le Ong. Ma mentre il Parlamento europeo continua a invocare e chiedere la solidarietà tra gli Stati, i governi non riescono a trovare un accordo in questo senso e virano sempre più verso accordi che vanno nella direzione dell’esternalizzazione delle frontiere e dei rimpatri nei paesi di provenienza o di transito. Per questo motivo, anche il recente accordo dei 27 Paesi Membri ad andare avanti per l’approvazione del nuovo Patto sulla migrazione prima della fine di questa legislatura, non mi fa essere troppo ottimista sul risultato. 

Da relatore ombra del Regolamento sulla migrazione e l’asilo che dovrà sostituire il tanto vituperato Regolamento di Dublino, ho detto in aula e a tutto il mio gruppo che non possiamo accettare un accordo ad ogni costo e al ribasso. La solidarietà nei confronti di un paese membro sotto pressione migratoria non può solo manifestarsi attraverso forme di rimpatrio o cooperazione con i paesi terzi o tantomeno finanziamenti nei paesi terzi. 

La solidarietà deve tradursi in primo luogo in misure di ricollocazione e soprattutto politiche a sostegno della persona. Penso che come partito e come famiglia politica dei Socialisti e democratici, dobbiamo portare avanti i diritti delle persone, prima di tutto. È questo l’unico modo che abbiamo per costruire un’Europa del futuro più solidale per tutti: per chi è in cerca di una vita migliore in Europa e anche per noi in preda ad una inesorabile decrescita infelice. 

Possiamo e dobbiamo andare avanti sulla strada che abbiamo solcato. 


Pietro Bartolo