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Nov

Migliori condizioni di lavoro per gli operatori culturali

Nella risoluzione di iniziativa legislativa, adottata con 433 voti favorevoli, 100 contrari e 99 astensioni, i deputati sottolineano che il divario tra i sistemi sociali nazionali, le diverse condizioni per gli artisti nei vari Stati membri e le norme applicabili ai lavoratori autonomi creano condizioni inique.

Il settore, che impiega il 3,8% della forza lavoro dell'UE e rappresenta il 4,4% del PIL, non è sufficientemente protetto, aggiungono i deputati. Poiché il settore è caratterizzato da modelli di lavoro atipici, reddito irregolare e minori possibilità di contrattazione sociale, comporta l’esistenza di lavoro sottopagato o non retribuito, lavori autonomi fittizi (tra l'1,6% e il 10,8% dei casi) e contratti di buy-out coercitivi. Anche le nuove tecnologie digitali, come l'IA generativa, pongono diverse sfide per gli operatori culturali, secondo il testo adottato.


Il Parlamento chiede un quadro dell'UE che combini strumenti, legislativi e non, per migliorare le condizioni sociali e professionali degli artisti e degli operatori culturali e creare dunque una situazione equa per tutti gli artisti e i professionisti creativi dell'UE. I deputati richiedono che questo quadro includa:

— una direttiva relativa a condizioni di lavoro dignitose e la corretta determinazione della situazione occupazionale nei settori culturali e creativi (CCS);

— una piattaforma europea per lo scambio delle migliori pratiche e la creazione di una comprensione reciproca tra gli Stati membri;

— adeguare il prossimo ciclo dei programmi dell'UE che finanziano professionisti creativi e culturali, come Creative Europe e Orizzonte Europa, per obbligare l’UE e i beneficiari a rispettare gli obblighi sociali e lavorativi dell'UE, dell’OIL, nazionali e collettivi e garantire che gli artisti siano sempre retribuiti, anche per il tempo dedicato alle prove e alla preparazione delle domande di finanziamento.

Prossime tappe 

Dopo il voto del Parlamento, la Commissione dispone ora di tre mesi per reagire, informando il Parlamento circa le misure che intende adottare, oppure motivando il rifiuto di proporre una legislazione basata sulla richiesta avanzata dal Parlamento.