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Il Patto di stabilità va corretto

L’obiettivo del Parlamento è chiaro: modificare in profondità il testo approvato dal Consiglio lo scorso dicembre, avvicinarsi alla proposta originaria della Commissione ed eliminare gli eccessivi vincoli introdotti nel frattempo dai governi.

Lo scorso 10 gennaio sono partiti i negoziati fra Parlamento e Consiglio per cercare di trovare un accordo su un testo comune sulla riforma del Patto di Stabilità e Crescita. Si tratta dell’ultima tappa di un processo lungo, iniziato nel febbraio 2020. 

Il Parlamento condivide in pieno gli obiettivi che la Commissione si era posta quando ha iniziato questo processo di riforma: semplificare le regole, passare da un monitoraggio anno per anno ad una programmazione pluriennale, abbandonare le regole uguali per tutti a favore di un insieme di principi da tradurre in vincoli disegnati sulle caratteristiche e le esigenze di ciascun paese. 

Questi principi sono stati purtroppo stravolti dall’accordo raggiunto all’unanimità dagli Stati Membri a dicembre, finendo per ridurre notevolmente la portata innovativa della proposta iniziale e gettando una luce sinistra sull’impatto di queste nuove regole su famiglie e imprese nei prossimi anni. 

L’obiettivo del Parlamento è chiaro: modificare in profondità il testo approvato dal Consiglio lo scorso dicembre, avvicinarsi alla proposta originaria della Commissione ed eliminare gli eccessivi vincoli introdotti nel frattempo dai governi. Questi vincoli sono dannosi perché limitano la possibilità di investire nelle priorità dell’Unione, in particolare nella transizione ambientale e digitale, e ignorano le necessità che sono emerse durante la crisi pandemica di rafforzare alcuni voci del bilancio pubblico, in particolare le spese sociali e quelle legate al sistema sanitario. 

Senza queste correzioni richieste dal Parlamento si prospetterebbe uno scenario potenzialmente negativo per l’Italia e per l’Unione nel suo insieme. Il testo negoziato dai governi introduce infatti margini di flessibilità molto limitati che si esauriranno dopo appena tre anni. Dopo quel momento - che per altro coincide con la fine delle risorse del Recovery Fund - dovremo fare i conti con piani di rientro molto pesanti e politiche restrittive che finiranno per impattare sulle nostre economie. 

Il Parlamento è pronto a negoziare senza sosta per cercare di raggiungere un accordo. Tuttavia, non siamo pronti a mandare giù qualsiasi compromesso né a finire sotto ricatto per accettare supinamente ciò che è stato già deciso dagli Stati membri. Se ci sarà uno stallo, vorrà dire che si continuerà il negoziato nella prossima legislatura.

Irene Tinagli